Ho sempre odiato le cipolle da quando sono piccola.
La realtà è che ho una intolleranza alimentare che mi perseguita da allora e il mio corpo ne ha di conseguenza sviluppato una vera e propria repulsione anche all’odore e alla vista.
Ci sono solo due categorie di “food” che mi fanno abbastanza raccapriccio. Famiglia delle cipolle e pesci grossi interi. Nulla altro.
E scusa, vorresti andare in ferie senza beccarti come ultimo shooting uno spot sulla cipolla di Tropea? Mai sia!
E già così sarebbe abbastanza come rush finale per i miei gusti.
E invece no, perché cavarsela con così poco?
La cipolla di Tropea deve essere fresca, appena raccolta, con il verde lungo 80 cm come appena presa dai campi e come da reference. E la cipolla però deve essere quella grande, mica un cipollotto, perché dobbiamo simulare la raccolta come se fossimo a Soriano Calabro quando in realtà ci troviamo in un parco alle porte di Milano con un finto contadino. Li mortacci.
E così è iniziata la mia caccia disperata alle cipolle. Grazie al Cielo ho una tariffa infinity, perché altrimenti avrei speso in telefonate in giro per tutta italia più del mio compenso. Davvero non so quante io ne abbia fatte partendo dalla regione Lombardia andando poi in Calabria passando attraverso il Consorzio Cipolla di Tropea che a sua volta mi ha smistata su non so quanti agricoltori fino ad arrivare al povero Cristo che ha deciso di dare retta ad un povera disgraziata più disgraziata di lui. Il Signor NonSoChe dopo non aver capito niente di quali fossero le mie necessità per qualche mezz’ora, si è finalmente arreso al fatto che io non avessi bisogno di una foto di cipolle bensì di una cassetta di prodotto fresco. Che per somma jattura e sfiga pre feriale, in questo periodo dell’anno non esiste, perché la stagione è già terminata e le cipolle si trovano solo nel “secco”, cioè senza verde.
Sono diventata una vera esperta agronoma in materia, mai lo avrei detto.
Che insomma, se già le odiavo per via delle mia incompatibilità alimentare, con sto giro io le cipolle le ho stramaledette.
Il Signor NonSoChe mi ha detto che avrebbe chiesto a NOnSoChi sulle montagne calabre di cercarle in quanto solo lì avrebbero potuto esserci. Alla fine dopo 36 telefonate con vari addetti un pacco è partito alla volta di Milano. Con mio sollievo.
Peccato non fosse tracciabile per via della mancanza del numero di tracking.
E così sono ricominciate le bestemmie e una serie all’infinito di telefonate verso la sede di LameziaTerme della GLS, l’addetto, povero cristiano, che aveva fatto fisicamente l’invio, le varie sedi milanesi sempre della società di trasporti e le “richieste” verso chi sta lassù a guardarci perché mi facesse ritrovare il mio collo.
Sparito. Disperso. Scomparso. Inghiottito nel nulla.
Un collo contenente cipolle di Tropea con il verde lungo 80 cm come da richiesta precisa del cliente, polverizzato. L’unico esemplare di questo maledetto prodotto che io fossi riuscita a trovare. L’unico campione con il quale girare sta dannata scena.
Chissà finito dove, parcheggiato in chissà quale deposito nella settimana più calda dell’anno con il mio bellissimo verde color smeraldo a marcire minuto dopo minuto in un clima equatoriale.
Non ho perso la calma solo perché in fin dei conti era l’ultimo shooting dell’anno e un sano vaffanculo già aleggiava sopra di me.
Il lunedì mattina, dopo un weekend passato verosimilmente in un lido balneare della Romagna, dopo l’ennesimo rosario di telefonate a catena durato 3 ore e tanta SantaPazienza, sono riuscita a ritrovare le disperse e farle recuperare da chi di dovere.
Per averle così, in tutto il loro marciume, sul set l’indomani all’alba alla periferia di Milano, dove un povero martire vestito con camicione in flanella e salopette di jeans spessa2 dita sfidava i 35 gradi milanesi fingendo le raccolte.
Quando sembrava che le cose potessero anche avere un lieto fine, la mazzata sul filo del traguardo.
Le cipolle sono cipollotti, non vanno bene. Non hanno la classica forma della Tropea. Non sono allungati. Non sono abbastanza grossi.
Chissà quale Santo mi ha dato la forza di non tirare varie imprecazioni ma di ingegnarmi nel fare un accrocchio mostruoso tagliando, incollando con colla a caldo, attack, legni, spilli, vinavil e bioadesivo i verdi delle marce cipolle alla parte cipollosa di trecce di Tropea che mi ero comunque fatta arrivare, producendo così un Frankestein abbastanza verosimile nonostante la contraffazione estrema.
E così tra terra in ogni dove (anche in parti anatomiche che qui non posso nominare), zanzare grandi come libellule, cammelli che ci attraversavano il parco sotto il sole delle 14 di Milano Est, ho chiuso un incredibile anno lavorativo sbucciando kg di cipolle e confermando, ancora una volta, il mio totale odio nei loro confronti.