Making of…

 

Ci sono voluti due anni, ben più di due calci nel di dietro che mi sono dovuta tirare e una grande dose di follia che sembra aver contagiato anche il nostro editore che si sta facendo trascinare in questa nuova avventura tutta da scrivere.

O meglio, solo in parte.

Perchè una buona metà è già stata scritta tra gli insulti di mia madre che dice che sono pazza e che lei si dissocia categoricamente dal mio progetto e i cori tipo ultras delle amiche che ululano di gioia e impazienza.
Questo libro l’ho voluto tantissimo, ha radici profonde che, se avessero una ubicazione anatomica, sarebbero poste a metà tra lo stomaco e il cuore.

Queste radici sono state alimentate per un lungo tempo, le ho tenute al calduccio, le ho innaffiate con dei mix letali di tutti i sentimenti del mondo ed ora sono orgogliosamente rigogliose e verdissime.

Un paio di giorni fa abbiamo scattato le prime foto a casa mia tra gatti, casino in ogni dove, travestimenti, vestiti dentro e fuori dagli armadi, smalti, manette, polpette a non finire che sono state salvifiche per la nostra pausa pranzo e quella adrenalina che sfoderiamo per le grandi occasioni.

Sono pronta, finalmente posso dire di essere davvero pronta.

Il nuovo libro arriverà presto e io non vedo l’ora di stringerlo tra le mani e pensare che più matta di così i miei genitori non potevano proprio farmi!

 

La magia del Vecchio e del Nuovo

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Ultimo giorno dell’anno.

Come ogni anno, ho aperto la mia nuova Moleskine che mi aiuterà a segnare impegni lavorativi, conti, bollette, spese chilometriche da fare e appunti personali di ordine sparso.

Ho scartato la pellicola protettiva e aperto la copertina del 2018, che sarà verde salvia dopo molti anni di rosso fuoco e un anno di blu tendente al petrolio.

L’ho sfogliata nella sua perfezione delle pagine immacolate, degli stickers a fine agenda ben custoditi nella terza di cover, nella calma del bianco che presto diventerà il solito casino fotonico di pere, carne macinata, 3 litri di passata di pomodoro, 4 meloni retati, 1 anguilla o simil tale, i 10 frutti del fiore della Nuova Guinea che chissà dove cavolo dovrò andare a cercare insieme a 3 etti di capesante di 5 cm di diametro!

Percorrendo i fogli mi sono stupita da sola di quanto siano affascinanti gli oggetti nuovi, le cose nuove in generale: una nuova agenda, un nuovo lavoro, un nuovo libro, un nuovo amore.

E qui sta il paradosso.

Pochi giorni fa mi è capitata tra le mani una prima edizione di un libro di ricette molto antico, credo sia stato pubblicato negli anni ’30 o ’40: pagine giallo ocra che svolazzano facendo fatica a stare fisse insieme e quella magia che solo i decenni trascorsi e il Tempo riescono a regalare.

Il nuovo e il vecchio legati dallo stesso incantesimo, seppure diametralmente opposto.

Il vecchio anno che mi lascia un senso di gratitudine per quello che ho avuto e per quello che non ho ancora avuto, perchè vorrà dire che dovrò andare avanti a desiderare fortemente quello che ancora non c’è e questo fa di me in ogni caso una persona fortunata.

E il nuovo anno che arriva e al quale ho già dato due compiti ben precisi, sempre passando attraverso la mia cucina, le mie ricette e i miei racconti.

Felice 2018!

Chi è la stracciamutande?

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In questi 10 anni ne ho viste de ogni. E quando dico de ogni vuol dire davvero de ogni.

Abbiamo fatto produzioni di spot tv in tutte le condizioni meteo possibili e immaginabili all’aperto, accampati con frigoriferi dentro il Parco Nord a 45° al 2 agosto cercando di resuscitare basilici morti stecchiti e cipolle in decomposizione, abbiamo sfidato tempeste di pioggia e vento in un giardino in notturna in Libano, in molti garage on in mezzo alla strada in pieno inverno a fare pizze e toast che gli attori dovevano mangiare fingendo gioia infinita, su scogliere a 40 gradi in sardegna con degli spinaci che erano da esorcismo e addirittura dentro, ma proprio dentro! le cascate delle Marmore con dei pomodori che dovevano stare in equilibrio in una pila di incastri,

Cose bizzarre di ogni tipo e sorta, a volte anche ai limiti del paranormale.

Ci manca solo uno shooting su un Vulcano in eruzione, il resto credevo di averlo visto.

Sbagliavo.

Un sabato sera dicembrino, Esselunga, ore 18.30. Già la descrizione è da esorcismo e fa prevedere scenari di straordinaria follia.

Ero pronta ad affrontare orde di uomini e donne isterici alla ricerca di zamponi, lenticchie, cotechini e bollicine. Ero preparata a dovermi fare largo tra file di panettoni farciti alla crema mandorlata, al cioccolato con praline di frutti di bosco, al lemoncurd, alla crema gianduia con bacche di goji, al mascarpone con pepite di zenzero, al prosecco con cuore di pungitopo candito e bacche di vischio pralinate.

Ero pronta e preparata a schivare bambini lagnosi, adulti nevrotici e litanie a volume da perforazione dei timpani.

“Giusèèèè, vai a prendere la mostarda che domani facciamo il bollito misto con le salsiccine, la salsa verde, il fritto misto e la bagna cauda”.
“Ma comeeeeee? Non trovi il torrone ricoperto al pistacchio con nocciole caramellate e polvere di cocco di haiti?”.
“Carmeèèè, cerca se vedi l’insalata russa tonnata carciofata al tartufo che devo farcire il panettone gastronomico multistrato mare terra monti e acque” .

Nonostante il segno della Croce prima di entrare e una sessione di yoga per affrontare il tutto, quello che vidi mi colse impreparata.

Cassa numero 10.

Una donna davanti a noi metteva via frettolosamente la sua spesa.

Non so come l’occhio ci cadde per terra.

Non poteva essere possibile, doveva per forza di cose esserci un errore.

Eppure era cosi.
Davanti a noi, sul pavimento della cassa numero 10 giaceva in bella vista, comodamente adagiato a terra senza un minimo accenno di pudore, un tanga color carne.

Che subito si è capito non essere un articolo in vendita bensì un indumento personale smarrito.

Ma ora la domanda nasce spontanea: ma chi lo ha perso lo stava indossando ed è così rimasto senza mutande? Oppure lo stava portando in borsa? Ma soprattutto, poniamo anche lo stesse strasportando, ma metterlo in una bustina no? Cioè mi volete dire che il tanga (anche abbastanza usurato), se ne stava bello bello tra il cellulare, le chiavi di casa, il pacchetto di sigarette, una formina per intagliare biscotti e il portafoglio in un’orgia di oggetti improbabili messi insieme?

Ovviamente questa vista scatenò, dopo nostra segnalazione all’ignara cassiera, un coro di ilarità e stupore che passò attraverso le casse 8, 9, 11 e 12.

“Ohh, Loretta, che le hai lasciate tu le mutande?” disse la 10 alla 11.

“Si, è inutile che cerchi di addossarmi colpe. Dillo che te le ha strappate di dosso Fabio del banco salumeria!”

“Ah ah, magari, non mi guarda minimamente. Secondo me la verità è che tu te le sei tolte per creare scompiglio e così far andare i clienti nelle altre casse”.

E un vociare da mercato di battutine, risate e frecciatine tra lo scompiglio generale e questo chiacchieratissimo tanga color carne che continuava beatamente a far parlare di se senza che nessuno prendesse provvedimenti in merito.

Lo scavalcammo per arrivare dopo il nastro e così poter insacchettare la spesa: solo in un secondo momento arrivò la direttrice del negozio.

Non sapendo come prelevare l’oggetto di tanti scherni, che diciamocelo, faceva anche abbastanza ribrezzo a tutti, la questione si risolse con un calcio da parte della donna che, con questa mossa degna di Cristiano Ronaldo, imboscò il tanga sotto la cassa numero 9 in attesa della chiusura del punto vendita e dell’addetto alle pulizie.

Questa perla davvero mancava alla mia collezione di aneddoti unti e peripezie folli e si è così meritata il podio delle PeggioCose di questi 10 anni di onorata carriera.

Ad onor del vero ecco il reportage fotografico!

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Cos’è la felicità?

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La felicità ha mille sfumature, mille colori e mille forme diverse.

Per qualcuno è una giornata di ferie al mare.

Per qualcun altro è un piatto di lasagne al forno.

Per qualcuno è il sorriso del proprio bambino.
Per me la felicità è essere sul mio set e essere riuscita a fare qualcosa di bellissimo. Qualcosa che gli altri forse non si aspettavano che io fossi in grado di fare.

Per poca conoscenza, naturale diffidenza o solo perchè sono poco credibile ai loro occhi scrutatori.

La felicità per me è essere dietro quel grembiule e fare le mie magie con il cibo

❤️

Welcome back!

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E sembra che sia ricominciato tutto esattamente come lo avevamo lasciato un mese fa.

Dopo un solo 48 ore di lavoro mi hanno già vista 3 volte in una giornata in Esselunga e girovagare per tutte le aiuole del paese raccogliendo in modo sospetto da terra delle foglie scavando ad occhi chiusi per non voler essere del tutto cosciente del fatto che stessi rovistando in verde pubblico. Ovviamente guardata con estremo sospetto dai passanti. Ovviamente mi servivano per uno shooting delle foglie dalla forma particolare. E via a dire che non sono pazza e nemmeno pericolosa a coloro che mi additavano come una potenziale terrorista: non sto piantando bombe e non sto nemmeno facendo nulla di illegale. Non sono nemmeno una spia di chissà  quale servizio segreto che raccoglie campioni di terra per Misteriose indagini in corso.

Sono solo una che fa un lavoro improbabile e difficilissimo da spiegare 🙂

Settembre, sei arrivato con il tuo carico e mi hai già investita come un folle treno in corsa. Ma io amo tanto le tue promesse e le tue meraviglie!

Piccola ammissione estiva di inettitudine

 

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E quindi dovrei scrivere.

Ma non ne sono capace. E’ una ammissione di colpa. Io so fare bene delle cose, è vero. Cucino bene. Sono fare bene la scema. Sdrammatizzo o drammatizzo, in base alle occasioni e alle evenienze, in modo ineccepibile. Ho una memoria fotonica, credo sfoci nella patologia: ricordo cose assolutamente inutili come fossero fotografie. Ma ho anche  la capacità nel sonno di ricordare cose di importanza fondamentale: prendi le padelle che nello studio dove vai non ci sono. La pianta di origano non l’hai trovata all’Esselunga quindi domattina prima di andare sul set ricordati di raccattarla dal balcone. Le fave di Cacao, Gesù, sono in cantina e vanno recuperate. Insieme al tostapane. E alle bacche di Natale (anche se siamo a luglio e Milano tocca i 38 gradi).

Il tutto in piena fase rem. Perché magari prima di andare a dormire mi vengono in mente le cose che devo ancora fare per l’indomani; poi mi sfuggono via. E ricompaiono magicamente alle 4 del mattino, o anche alle 6. Giusto in tempo per non disperarmi sui set e non trovarmi a respirare in un sacchetto di carta colta da crisi di ansia.

Per continuare la serie delle mie abilità: ho i piedi prensili, riesco a raccogliere oggetti, tenere una matita e quasi a scrivere. Sono una mangiatrice compulsiva di patatine del sacchetto, credo potrei vincere qualche campionato regionale. Come quelli della lamentela: come mi lamento io, non si lamenta nessuno mai. Ogni tanto sembro il Muezzin con le mie litanie. Anzi no, le mie, di litanie, sono più variegate e lunghe.

Ecco potrei continuare ancora e ancora a elencare un insieme di doti e capacità inutili. Quelle utili esistono, però sono di numero assolutamente inferiore.

E quella che mi servirebbe maggiormente ora, di dote, non ce l’ho.

Io non so scrivere. Eppure devo. Perchè l’editore ha finalmente acconsentito alla pubblicazione di questo che sarà un favoloso ricettario narrato. Molto narrato. Quasi più narrato che ricettato. E io mi trovo esattamente in quel maledetto momento in cui mi dico “ohmerda, e adesso come glielo racconto che non so scrivere racconti? Ma soprattutto, come ha fatto a non accorgersene?”.
Un tempo mi dissero che dovevo essere più corsara, lanciarmi di più.

Bene, io mi lancio anche ma speriamo lui non lanci le bozze fuori dalla finestra.

Ok, sono colpevole e non ho attenuanti.

Però ho un meraviglioso couscous summerfestival mille verdure e mille profumi: lo scambio con uno sconto sulla pena!

La cacciatrice di stelle cadenti

 

imageLa cacciatrice di stelle cadenti.

Alla ricerca di qualche sogno da realizzare.

Di sogni ne ho sempre piene le mani e il cuore. A volte fin troppo, mi dico.
Chi sogna molto è destinato, in qualche modo, a fare precipitose cadute a terra.

Ma diversa non so essere, essendo nata sotto questo cielo di Agosto.

Sotto SanLorenzo e le sue Promesse. SanLorenzo e le sue Attese.

Un cielo pieno di speranze e di magia.
Il cielo dei baci in spiaggia di notte.
Delle stelle che cadono sopra i nostri cuscini e sopra i nostri sonni.

Il cielo delle grandi promesse e dei grandi progetti.

Io di grande progetto ne ho uno immenso. Cercato, voluto fortemente con tutta me stessa. Sebbene sia insensato, folle e controverso come lo sono io.

Ma, come sono io, tenace.

Verrà pubblicato e vivrà del mio prendermi poco sul serio, della voglia di ridere e far ridere, delle ricette che mi accompagnano, e della mano magica di Silvia.

Questo era il mio desiderio per SanLorenzo di due anni fa.

Questa notte posso guardare le stelle sù in cielo e semplicemente dire Grazie.

A loro.

A me stessa, per essere così testarda.

A Silvia, che vivrà con me questa ennesima avventura.

E a Guido Tommasi. Che è un uomo magnetico e straordinario.

 

Summer Eggplant Mania!

imageSto lentamente ma inesorabilmente rendendo la casa montana di colui che con me divide il letto una succursale della casa milanese.

La cucina anche qui è diventato il mio laboratorio.

No ma io ho una dipendenza verso la cucina, e questo credo che sia la risposta al post precedente.

Sto cercando case in affitto per brevissimi periodi per la vacanza itinerante pugliese di fine settembre: valuto solo case o simil tali che abbiano cucine che mi piacciono. Ma poi, a farci cosa? Ci dobbiamo stare tra le 2 e le 3 notti in ogni posto. Eppure, se la cucina non mi piace, scarto la casa. Perché anche in vacanza voglio cucinare e voglio farlo in un luogo bello.

Si lo so è una deformazione grave la mia, cosa posso farci.

Così come è grave la mania che ho verso le melanzane: sono totalmente addicted e non posso farne a meno. E pensare che mia madre non dico le detesti ma poco ci manca: le melanzane, dice, la fanno arrabbiare perché non sa come cucinarle. Io dico che lei non ha pazienza, perché la melanzana va capita, studiata, lasciata cuocere il giusto tempo e trattata per bene. Solo allora darà dei risultati straordinari, come questi spaghetti di oggi.
Melanzane, pomodorini spadellati, pinoli, pesto leggero e burrata.

E le malefiche cipolle di Tropea

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Ho sempre odiato le cipolle da quando sono piccola.

La realtà è che ho una intolleranza alimentare che mi perseguita da allora e il mio corpo ne ha di conseguenza sviluppato una vera e propria repulsione anche all’odore e alla vista.

Ci sono solo due categorie di “food” che mi fanno abbastanza raccapriccio. Famiglia delle cipolle e pesci grossi interi. Nulla altro.

E scusa, vorresti andare in ferie senza beccarti come ultimo shooting uno spot sulla cipolla di Tropea? Mai sia!

E già così sarebbe abbastanza come rush finale per i miei gusti.

E invece no, perché cavarsela con così poco?

La cipolla di Tropea deve essere fresca, appena raccolta, con il verde lungo 80 cm come appena presa dai campi e come da reference. E la cipolla però deve essere quella grande, mica un cipollotto, perché dobbiamo simulare la raccolta come se fossimo a Soriano Calabro quando in realtà ci troviamo in un parco alle porte di Milano con un finto contadino. Li mortacci.

E così è iniziata la mia caccia disperata alle cipolle. Grazie al Cielo ho una tariffa infinity, perché altrimenti avrei speso in telefonate in giro per tutta italia più del mio compenso. Davvero non so quante io ne abbia fatte partendo dalla regione Lombardia andando poi in Calabria passando attraverso il Consorzio Cipolla di Tropea che a sua volta mi ha smistata su non so quanti agricoltori fino ad arrivare al povero Cristo che ha deciso di dare retta ad un povera disgraziata più disgraziata di lui. Il Signor NonSoChe dopo non aver capito niente di quali fossero le mie necessità per qualche mezz’ora, si è finalmente arreso al fatto che io non avessi bisogno di una foto di cipolle bensì di una cassetta di prodotto fresco. Che per somma jattura e sfiga pre feriale, in questo periodo dell’anno non esiste, perché la stagione è già terminata e le cipolle si trovano solo nel “secco”, cioè senza verde.

Sono diventata una vera esperta agronoma in materia, mai lo avrei detto.
Che insomma, se già le odiavo per via delle mia incompatibilità alimentare, con sto giro io le cipolle le ho stramaledette.

Il Signor NonSoChe mi ha detto che avrebbe chiesto a NOnSoChi sulle montagne calabre di cercarle in quanto solo lì avrebbero potuto esserci. Alla fine dopo 36 telefonate con vari addetti un pacco è partito alla volta di Milano. Con mio sollievo.

Peccato non fosse tracciabile per via della mancanza del numero di tracking.

E così sono ricominciate le bestemmie e una serie all’infinito di telefonate verso la sede di LameziaTerme della GLS, l’addetto, povero cristiano, che aveva fatto fisicamente l’invio, le varie sedi milanesi sempre della società di trasporti e le “richieste” verso chi sta lassù a guardarci perché mi facesse ritrovare il mio collo.

Sparito. Disperso. Scomparso. Inghiottito nel nulla.

Un collo contenente cipolle di Tropea con il verde lungo 80 cm come da richiesta precisa del cliente, polverizzato. L’unico esemplare di questo maledetto prodotto che io fossi riuscita a trovare. L’unico campione con il quale girare sta dannata scena.
Chissà finito dove, parcheggiato in chissà quale deposito nella settimana più calda dell’anno con il mio bellissimo verde color smeraldo a marcire minuto dopo minuto in un clima equatoriale.
Non ho perso la calma solo perché in fin dei conti era l’ultimo shooting dell’anno e un sano vaffanculo già aleggiava sopra di me.

Il lunedì mattina, dopo un weekend passato verosimilmente in un lido balneare della Romagna, dopo l’ennesimo rosario di telefonate a catena durato 3 ore e tanta SantaPazienza, sono riuscita a ritrovare le disperse e farle recuperare da chi di dovere.

Per averle così, in tutto il loro marciume, sul set l’indomani all’alba alla periferia di Milano, dove un povero martire vestito con camicione in flanella e salopette di jeans spessa2 dita sfidava i 35 gradi milanesi fingendo le raccolte.

Quando sembrava che le cose potessero anche avere un lieto fine, la mazzata sul filo del traguardo.

Le cipolle sono cipollotti, non vanno bene. Non hanno la classica forma della Tropea. Non sono allungati. Non sono abbastanza grossi.

Chissà quale Santo mi ha dato la forza di non tirare varie imprecazioni ma di ingegnarmi nel fare un accrocchio mostruoso tagliando, incollando con colla a caldo, attack, legni, spilli, vinavil e bioadesivo i verdi delle marce cipolle alla parte cipollosa di trecce di Tropea che mi ero comunque fatta arrivare, producendo così un Frankestein abbastanza verosimile nonostante la contraffazione estrema.

E così tra terra in ogni dove (anche in parti anatomiche che qui non posso nominare), zanzare grandi come libellule, cammelli che ci attraversavano il parco sotto il sole delle 14 di Milano Est, ho chiuso un incredibile anno lavorativo sbucciando kg di cipolle e confermando, ancora una volta, il mio totale odio nei loro confronti.

 

Di gamberi riposseduti e altre amenità

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Se luglio non esistesse mi farebbe un favore. Capitano cose che capitano solo a luglio. Forse negli altri mesi sono illegali, chi lo sa.

Settimana scorsa ho fatto una produzione che è stato un po’ come rivivere un incubo del mio passato: La prima edizione di Masterchef. Ringraziando il Cielo questa volta il tutto non è durato tre mesi, bensì tre giorni. Io tre mesi come allora non li posso reggere. Non mi regge più lo stomaco, il sistema nervoso e soprattutto non mi sta più a freno la lingua e dico tutto quello che penso. Nella realtà credo sia solo spirito di sopravvivenza.

Solo gli addetti ai lavori sanno cosa si può scatenare in un frigorifero di scena dove per 5 giorni prendono domicilio dei tranci di salmone crudo in bella vista affiancati da robiole fresche e tomini. E guai a comprare dei sostituti freschi, che non c’è budget e dobbiamo conservare fino a fine lavori quello che c’è. Ci teniamo le muffe, le decomposizioni, il voltastomaco e rendiamo il tutto bellissimo. Chissenefrega se c’è un odore che sembra di essere alla fogna di Calcutta: così è.

PadreAmorth, chiamate un suo successore. O anche Dario Argento. Facciamo un remake di “Non aprite quella porta”. Non ci serve nemmeno l’uomo degli effetti speciali per riprodurre momenti horror raccapriccianti, li abbiamo già.

Ma devo dire di avere avuto anche tanta fortuna. Nonostante i 40 gradi, nonostante i gamberi avessero bisogno di un esorcismo dopo ore e ore crudi fuori dal frigo, nonostante il food fosse decomposto come in Nightmare before Christmas, nonostante il locale scelto per il pranzo della troupe secondo me prendesse i viveri direttamente dai nostri frigoriferi di scena con botulino galoppante&affini.  Nonostante tutto la simpatia e allegria di Alessandra, la scenografa mia compagna di sventure, ha ricompensato ogni fatica e ogni malumore. E questo vale per mille gamberi avariati e mille tome verdi ma non di rucola!

Luglio, ti odio sempre. Ma riesco ancora a gioire delle sorprese che questo lavoro mi riserva.