Il viola porta sfiga. E chissenefrega.

gonna viola2

 

Oggi sono andata ad un PPM, che sembra chissà cosa ma in realtà è solo una riunione pre shooting. Sembrava che dovessi andare ad un incontro della Nato data la pressione affinchè io garantissi la mia presenza.

Mi sono detta “ok, devi andare presentabile, non nelle tue solite mise cialtrone da fritto”. Per cui, essendo una riunione che per qualche verso anche mi destava preoccupazioni, ho deciso di mettere una gonna pantalone che per me è un talismano.

L’ho comprata due settimane fa in Puglia da Aysha, bellissima senegalese che mi ha stregata (e ladrata) con due parole ben assestate: guarda che bella, stai su con le spalle, con il tuo fisico lo porti a vita alta con i tacchi e vai a Milano a farti guardare da tutti. Fottuta e 35 euro volatilizzati in 2 secondi dal mio portafogli.

Aysha mi ha mostrato in una manciata di parole come si fa a fare la commerciante. Un’occhiata velocissima alla cliente per studiarne in tempo 5 secondi la psicologia, qualche frase ben piazzata sui suoi punti deboli, un po’ di psicoterapia da spiaggia sul lettino (abbronzante) e quell’aria del “non mi interessa se non lo compri tu tanto la sciura del lettino di fianco l’ha già addocchiata”. Oltre a un paio di consigli sentimentali. Fregata, stesa dritta e con capo acquistato in tempo zero.

Reputo in qualche modo magica questa gonna pantalone di seta indiana comprata dalla favolosa senegalese, per cui stamani, dato che avevo bisogno di un po’ di BuonaStella a mio favore, ho deciso di indossarla.

In barba a quello che dicono nel mondo dello spettacolo: il viola porta male.

E chissenefrega.

Bella sgargiantissima vado leggera sui miei sandali alla riunione, acconciando capelli e sistemando trucco. Mi immaginavo riflessa in una sala riunioni con tavolo di cristallo e vetri a 360 gradi, a rimirare Milano da un piano altissimo.

Questo era quello che sembrava promettere il tono dell’interlocutore durante la nostra conversazione telefonica.

Ecco invece la realtà: sono finita in un seminterrato in un’agenzia che più incasinata ho visto solo la mia camera dopo una settimana di shooting che finiscono a notte fonda. Oggetti vari sparsi in ogni dove, scrivanie non ben definite e gente sparpagliata qui e là senza nessun ordine logico.

Il mio povero trucco dopo 5 minuti di sotterraneo con ventoline che cercano di alleviare il caldo di luglio mi ha abbandonata; l’acconciatura invece l’ho abbandonata io legando selvaggiamente i capelli dopo essermi resa conto che un caldo del genere l’ho patito solo a Tikal in Messico alle 2 del pomeriggio.

Fogli su fogli, parole su parole, ricette sconclusionate da definirsi e due ore di sproloquio che alla fine mi hanno fatta uscire ancora più confusa di quanto non lo fossi entrando. Di una cosa sono certa: per dare un senso a queste 23 pagine di documento per lo shooting avrò bisogno di ben altro che una gonna portafortuna. Avrò bisogno di una generosa dose di culo e una grande pazienza.

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