La giornata è iniziata alle 8. Apro un occhio, apro il secondo occhio, mi metto in piedi, vado verso la cucina, apro il frigo, tiro fuori le buste e comincio ad avvoltolare: uva passa, mortadella, basilico, fettine di vitello, stuzzichino e via nel sugo.
Prima del caffè. Prima del latte. Prima dei biscotti. Prima che qualsiasi cosa possa farmi fare pace con la sveglia, prima che io prenda realmente conoscenza e che mi affacci al mondo. E mentre la salsa bolle creando la sua magia, ecco la vera parte in salita ripida della mattina: le scartoffie da portare al commercialista. Dio, se le odio.
Mi metto ogni volta la tuta dei Ris di Parma e passo la casa da cima a fondo come un agente che deve trovare il dna dell’assassino. Qui però di reati non c’è traccia, se ci sono delle macchie rosse a terra sono solo quelle della pummarola che schizza impazzita mentre setaccio ogni cm alla ricerca di fatture, bollette, pezze di ogni tipo e sorta ficcate in ogni dove. Armadi, mobiletti, sacchetti abbandonati nel ripostiglio, quaderni di veterinaria, libri di anestesiologia o ricettari di Donna Hay. Sono riuscita a scovare ricevute anche nella scarpiera, nelle camicie delle grandi occasioni e nell’armadietto del bagno (e non erano ricevute di medicinali, erano fatture di Esselunga per l’acquisto di salcicce per una campagna stampa di uno spiedino). Cosa ci facesse sta ricevuta in mezzo alle mie creme da corpo lo può sapere solo qualche indovino che risponde on line. Io non ne ho idea ma soprattutto non voglio nemmeno saperlo.
Dopo un’accurata ispezione a base anche di Luminol prendo il maldestro plico, mi metto un sorriso e un rossetto e vado da Luca.
Il commercialista resta per chiunque un’affare detestabile. Ogni volta che dico che ero dal commercialista, mi viene detto “mi dispiace” con tono di condoglianze. Come se fosse una disgrazia mortale.
E dire che io Luca lo adoro, ogni volta ci facciamo risate a non finire; anche se le tasse di luglio vanno sempre assorbite insieme a una damigiana di Tavernello, fossero anche le 10 del mattino. Dopo ore di calcoli, cervello in fumo, prospettive di fatturati, spese, sottrai, togli inps, irpef, aliquote, altre tasse a me sconosciute e anche il budget che avevo stanziato per comprare le mutande in stock, mi ritrovo a correre in posta sperando che l’avviso non sia relativo ad una multa, perchè per pagare pure quella dovrei mandare i gatti al circo a lavorare come giocolieri.
Entro e lo scenario è assurdo: un ragazzo in piedi davanti al banco. 20 persone accaldate che attendono. Un impiegato che urla come un forsennato che il pacco non può consegnarglielo mentre il ragazzo si anima alzando i toni. Intorno la gente in coda comincia a schierarsi: chi dalla parte della Posta e chi dalla parte del cittadino. Sembra una bisca clandestina con schiamazzi tra gli spettatori, scommesse e i duellanti che man mano passano i minuti urlano sempre più. Manca solo un venditore di hot dog e una squinzia in tanga con cartelloni pubblicitari. Il ragazzo viene richiamato sul retro e si sentono grida talmente forti che mi domando se non sia il caso di chiamare la polizia.
Mi guardo intorno e la signora di fianco a me comincia a raccontarmi la storia di questo poveretto manco fosse la trama di Beautiful. L’impiegata nel mentre continua a digrignare i denti chiamando i numeri così furiosamente che la gente è quasi intimorita nell’avvicinarsi perchè sa che qualsiasi cosa farà o dirà, anche solo se avrà un cognome con troppe consonanti, andrà incontro all’ira funesta della donna armata di timbro e canino avvelenato.
Arriva il mio turno: sfodero un gentilissimo “buongiorno” sperando di rabbonirla. Legge il cognome “ma tu hai un fratello che è andato a scuola dalle suore?” “In realtà ne ho tre che sono andati lì”. La signora archivia il canino per mostrare tutta l’arcata che si apre in un ampio sorriso compiaciuto. E inizia a raccontarmi di Suor Ivana, SuorQuesta e SuorQuella tutta felice. Avere dei fratelli, e un ottimo commercialista, spesso aiuta anche in momenti funesti.
(La coda in posta è comunque durata un’ora. Per poi ritirare una certificazione di ritenuta d’acconto totalmente inutile che avevo già ricevuto via email)