Il mio rapporto con la cucina ( e buonissimi pancakes montani)

 

pancake ok

Una delle domande che mi viene spessissimo fatta mentre lavoro è:

“Ma tu, a casa tua, cucini?”

La risposta resta sempre la solita: non ve lo so dire!

Ci sono sere che torno a casa e mi sale il crimine alla sola idea di prendere ancora in mano una padella, posso tollerare di entrare in cucina ma a patto che nessuno si aspetti che io metta in tavola qualcosa e che io mangi perché sono nauseata da tutto e voglio solo una insalata scondita, che possibilmente si auto presenti sul tavolo senza che io debba nemmeno prenderla dal frigo.
Capita anche l’opposto.
Capita che magari per lavoro io abbia fatto da mangiare per 100 persone. Oppure che abbia preparato per uno shooting cannelloni, lasagne, arrosti e sformati ripieni di ogni BendiDio. E torni a casa con il frigo completamente vuoto, come la mia pancia, e darei non so cosa pur di avere una cena, non dico buona, ma almeno pseudo-edibile pronta. Andrenne bene anche qualcosa scaduto da un paio di giorni, basta che non abbia muffa verde evidente (la tollero solo sui formaggi erborinati ma con fatica).
Qualche rara volta ci pensa colui che divide il tavolo della cucina con me. Ma sono eventi rari. Come il passaggio della cometa Hale-Bopp. O quello dei Re Magi.

Quindi diciamo che di norma ho un rapporto abbastanza instabile con la mia cucina, che spesso ai miei occhi è più un laboratorio per il mio lavoro che il resto.

Ma quando stacco la testa, quando la smetto di ossessionarmi perché il branzino che ho trovato alla Metro non è grande abbastanza e la pirofila risulterà vuota “in macchina” e il cliente mi chiederà un pesce più grande che, mannaggia ai dannati pescatori, non mi hanno portato quella mattina al banco ittico, beh quando la smetto di massacrarmi di ansie in merito ai peperoni che non sono quadrati, alle melanzane che non ho trovato del diametro più piccolo, alle cipolle di tropea che non hanno il verde di vegetazione lungo 80 cm, a quel punto io faccio pace con il mondo intero e sì, cucino. Ma non solo.

Amo fare la spesa, perdendomi tra le verdure e le erbe aromatiche e le corsie dei supermercati. Amo il mercato, dove non riesco ad andare quasi mai perché di mercoledi mattina lavoro quasi sempre (e se non lavoro è perché ho fissato una visita medica o il commercialista mi chiama all’appello per sgridarmi). Amo portare tutto a casa, passare ore ai fornelli a spadellare e amo immensamente quando le cose, oltre che buone, mi vengono belle. E’ una pura deformazione professionale. Che per me Belle, non è esattamente il “bello pubblicitario” a cui sono abituata a rispondere durante l’anno.

Bello è qualcosa di reale, concreto, goloso, caldo, imperfetto e nella sua imperfezione assolutamente irripetibile e che fa venire una voglia irrefrenabile di divorarlo.

E amo fotografare, ricreare mondi, situazioni, cogliere l’essenza di quel momento e di quel piatto e riguardarlo all’infinito.

Si, decisamente la cucina fa parte di me.
Soprattutto quando non lavoro.

PS: questi sono degli adorabili pancakes alle zucchine fatti con uova di galline livornesi bio a KM0 e zucchine dell’orto. Niente di più semplice. Niente di più spettacolare.

 

Pubblicità

E le malefiche cipolle di Tropea

image2 (1)

 

Ho sempre odiato le cipolle da quando sono piccola.

La realtà è che ho una intolleranza alimentare che mi perseguita da allora e il mio corpo ne ha di conseguenza sviluppato una vera e propria repulsione anche all’odore e alla vista.

Ci sono solo due categorie di “food” che mi fanno abbastanza raccapriccio. Famiglia delle cipolle e pesci grossi interi. Nulla altro.

E scusa, vorresti andare in ferie senza beccarti come ultimo shooting uno spot sulla cipolla di Tropea? Mai sia!

E già così sarebbe abbastanza come rush finale per i miei gusti.

E invece no, perché cavarsela con così poco?

La cipolla di Tropea deve essere fresca, appena raccolta, con il verde lungo 80 cm come appena presa dai campi e come da reference. E la cipolla però deve essere quella grande, mica un cipollotto, perché dobbiamo simulare la raccolta come se fossimo a Soriano Calabro quando in realtà ci troviamo in un parco alle porte di Milano con un finto contadino. Li mortacci.

E così è iniziata la mia caccia disperata alle cipolle. Grazie al Cielo ho una tariffa infinity, perché altrimenti avrei speso in telefonate in giro per tutta italia più del mio compenso. Davvero non so quante io ne abbia fatte partendo dalla regione Lombardia andando poi in Calabria passando attraverso il Consorzio Cipolla di Tropea che a sua volta mi ha smistata su non so quanti agricoltori fino ad arrivare al povero Cristo che ha deciso di dare retta ad un povera disgraziata più disgraziata di lui. Il Signor NonSoChe dopo non aver capito niente di quali fossero le mie necessità per qualche mezz’ora, si è finalmente arreso al fatto che io non avessi bisogno di una foto di cipolle bensì di una cassetta di prodotto fresco. Che per somma jattura e sfiga pre feriale, in questo periodo dell’anno non esiste, perché la stagione è già terminata e le cipolle si trovano solo nel “secco”, cioè senza verde.

Sono diventata una vera esperta agronoma in materia, mai lo avrei detto.
Che insomma, se già le odiavo per via delle mia incompatibilità alimentare, con sto giro io le cipolle le ho stramaledette.

Il Signor NonSoChe mi ha detto che avrebbe chiesto a NOnSoChi sulle montagne calabre di cercarle in quanto solo lì avrebbero potuto esserci. Alla fine dopo 36 telefonate con vari addetti un pacco è partito alla volta di Milano. Con mio sollievo.

Peccato non fosse tracciabile per via della mancanza del numero di tracking.

E così sono ricominciate le bestemmie e una serie all’infinito di telefonate verso la sede di LameziaTerme della GLS, l’addetto, povero cristiano, che aveva fatto fisicamente l’invio, le varie sedi milanesi sempre della società di trasporti e le “richieste” verso chi sta lassù a guardarci perché mi facesse ritrovare il mio collo.

Sparito. Disperso. Scomparso. Inghiottito nel nulla.

Un collo contenente cipolle di Tropea con il verde lungo 80 cm come da richiesta precisa del cliente, polverizzato. L’unico esemplare di questo maledetto prodotto che io fossi riuscita a trovare. L’unico campione con il quale girare sta dannata scena.
Chissà finito dove, parcheggiato in chissà quale deposito nella settimana più calda dell’anno con il mio bellissimo verde color smeraldo a marcire minuto dopo minuto in un clima equatoriale.
Non ho perso la calma solo perché in fin dei conti era l’ultimo shooting dell’anno e un sano vaffanculo già aleggiava sopra di me.

Il lunedì mattina, dopo un weekend passato verosimilmente in un lido balneare della Romagna, dopo l’ennesimo rosario di telefonate a catena durato 3 ore e tanta SantaPazienza, sono riuscita a ritrovare le disperse e farle recuperare da chi di dovere.

Per averle così, in tutto il loro marciume, sul set l’indomani all’alba alla periferia di Milano, dove un povero martire vestito con camicione in flanella e salopette di jeans spessa2 dita sfidava i 35 gradi milanesi fingendo le raccolte.

Quando sembrava che le cose potessero anche avere un lieto fine, la mazzata sul filo del traguardo.

Le cipolle sono cipollotti, non vanno bene. Non hanno la classica forma della Tropea. Non sono allungati. Non sono abbastanza grossi.

Chissà quale Santo mi ha dato la forza di non tirare varie imprecazioni ma di ingegnarmi nel fare un accrocchio mostruoso tagliando, incollando con colla a caldo, attack, legni, spilli, vinavil e bioadesivo i verdi delle marce cipolle alla parte cipollosa di trecce di Tropea che mi ero comunque fatta arrivare, producendo così un Frankestein abbastanza verosimile nonostante la contraffazione estrema.

E così tra terra in ogni dove (anche in parti anatomiche che qui non posso nominare), zanzare grandi come libellule, cammelli che ci attraversavano il parco sotto il sole delle 14 di Milano Est, ho chiuso un incredibile anno lavorativo sbucciando kg di cipolle e confermando, ancora una volta, il mio totale odio nei loro confronti.

 

La notte prima delle ferie

finta parmigiana

-1 giorno alle ferie. Che significa stanchezza, leggerezza ed incredulità.

Che significa che tra 24 ore tutto quello che è unto, cibi avariati, macchina che puzza come se fosse riposseduta, frigorifero traboccante che non si chiude, scontrini pieni di schizzi degli involtini di peperoni per lo shooting, sveglie antelucane con notti troppo brevi… Beh questo per 4 settimane sarà un ricordo.

Ahi! Come ogni giorno prima delle ferie non me ne rendo conto. Sono ancora troppo immersa alla caccia alle cipolle di Tropea con il verde di vegetazione ancora attaccato per potermi permettere di pensare a domani sera e quello che sarà.

Ho ancora troppi residui di cibi non identificati in cucina e alcune cose da chiudere. Ma sono estremamente leggera e ho il cuore scalzo. E anche un po’ sconsiderato. Dovrei mantenermi così anche per il prossimi 365 giorni; senza prendersi troppo sul serio.

I pomodori non sono perfettamente rossi? Ce ne faremo una ragione.

L’uva non è quella americana? Ci faremo andare bene quella italiana.

La pizza non ha il bordo abbastanza dorato? La doreremo in photoshop.

Il pesce puzza come il demonio? Grazie a Dio in foto non si sente.

Il cliente vuole che si scatti quando sono in ferie? Sarò in ferie e chissenefrega per il lavoro perso.

La panna montata non sembra panna ma yogurt? Vedetela come volete vederla, è panna. Poi se volete dire che è yogurt, a me va benissimo anche dire che sia yogurt.

La pesca non è abbastanza arancione all’interno? Fai tu, siamo in febbraio, come puoi pensare di trovarla rossa e succosa.

La sottiletta si scioglie troppo in fretta? Ovviamente, ci sono 40 gradi. La congeleremo e scongeleremo e ricongeleremo all’infinito fino a trovare un magico punto di fusione che non esiste in natura.

 

Ma stasera è tutto davvero relativo e davvero senza ansia. E questo senso di leggerezza io me lo vorrei tenere cucito addosso come la mia seconda pelle. Come la coperta di Linus. Come Brooke sta incollata a Ridge da almeno 25 anni (ma come si fa a rendersi ancora così terribilmente seducenti agli occhi altrui dopo 25 anni? Forse il segreto è nel fare figli con almeno altri 4 uomini).

Lo spritz prima delle ferie.

Le finta parmigiana prima delle ferie.

24 ore alle ferie.

E credo sia, solo per questo, la sera più bella dell’anno ❤

 

PS. la finta parmigiana è di ieri. Una coccola meritatissima l’ultima domenica di rientri di questo caldissimo luglio.

Di gamberi riposseduti e altre amenità

image.jpeg

Se luglio non esistesse mi farebbe un favore. Capitano cose che capitano solo a luglio. Forse negli altri mesi sono illegali, chi lo sa.

Settimana scorsa ho fatto una produzione che è stato un po’ come rivivere un incubo del mio passato: La prima edizione di Masterchef. Ringraziando il Cielo questa volta il tutto non è durato tre mesi, bensì tre giorni. Io tre mesi come allora non li posso reggere. Non mi regge più lo stomaco, il sistema nervoso e soprattutto non mi sta più a freno la lingua e dico tutto quello che penso. Nella realtà credo sia solo spirito di sopravvivenza.

Solo gli addetti ai lavori sanno cosa si può scatenare in un frigorifero di scena dove per 5 giorni prendono domicilio dei tranci di salmone crudo in bella vista affiancati da robiole fresche e tomini. E guai a comprare dei sostituti freschi, che non c’è budget e dobbiamo conservare fino a fine lavori quello che c’è. Ci teniamo le muffe, le decomposizioni, il voltastomaco e rendiamo il tutto bellissimo. Chissenefrega se c’è un odore che sembra di essere alla fogna di Calcutta: così è.

PadreAmorth, chiamate un suo successore. O anche Dario Argento. Facciamo un remake di “Non aprite quella porta”. Non ci serve nemmeno l’uomo degli effetti speciali per riprodurre momenti horror raccapriccianti, li abbiamo già.

Ma devo dire di avere avuto anche tanta fortuna. Nonostante i 40 gradi, nonostante i gamberi avessero bisogno di un esorcismo dopo ore e ore crudi fuori dal frigo, nonostante il food fosse decomposto come in Nightmare before Christmas, nonostante il locale scelto per il pranzo della troupe secondo me prendesse i viveri direttamente dai nostri frigoriferi di scena con botulino galoppante&affini.  Nonostante tutto la simpatia e allegria di Alessandra, la scenografa mia compagna di sventure, ha ricompensato ogni fatica e ogni malumore. E questo vale per mille gamberi avariati e mille tome verdi ma non di rucola!

Luglio, ti odio sempre. Ma riesco ancora a gioire delle sorprese che questo lavoro mi riserva.

La felicità formato Pizza

image

Chi mi conosce lo sa. Quando c’è un set di pizze, ne faccio almeno 4. Non tanto perché sia necessario averne qualcuna in più nel caso che la lievitazione o cottura non venga bene. È piuttosto che io sono perdutamente innamorata della pizza per cui ne sforno almeno 4 in modo da mangiarne qualche fetta e rendere felice chi è sul set con me offrendola: la pizza è magica, crea sempre un’atmosfera di gioia e felicità intorno a se!

Io ne Amo tutto: amo fare la pasta, lasciarla lievitare, guardarla diventare gonfia, rielaborarla in palline e poi stenderla e lasciarla lievitare ancora. Adoro il profumo del pomodoro che si mescola con l’olio e l’origano, la mozzarella che si scioglie e crea i suoi bellissimi disegni nel sugo, adoro ammirare questi capolavori ognuno con la sua forma che non sarà mai più la stessa e con le sue bellissime perfette imperfezioni. E poi adoro rubarne fettine e riempirmici pancia, occhi  e cuore!

Se mi volete felice, datemi uno shooting di pizze! (Oggi sono stata molto felice ❤️)

 

image

Ps: la faccia della gioia. Io che faccio foto della mia “bambolina” per postarla su Instagram.

Postazione di comando in fusione

mcd

 

Sembra una base aerospaziale. Qualcosa che se la guardo così mi ricorda la Cristoforetti e non mi stupirei arrivasse con la sua tuta da Missione nello spazio.

E invece no, è dove i panini di McDonald’s prendono vita, una delle milioni di cucine dei ristoranti, organizzata in modo fantascientifico per far sì che tutto funzioni alla perfezione in tempo zero.

Come vorrei che fosse così anche per me, che tutto funzionasse alla perfezione in tempo zero. Mi fonde il Cervellone. Che non è il mio cervello di per sé, è quel magico qualcosa che mi fa tenere insieme tutti i pezzi delle giornate. Che sono tanti, troppi.

  • CHIAMA IL FRUTTIVENDOLO PER CHIEDERE SE C’è L’ASPARAGO DELL’ALPI DI SIUSI
  • CHIAMA IL REPARTO ITTICO DELLA METRO CHE MAGARI HANNO LA TRIGLIA DI SCOGLIO LISCIO, NON QUELLA DI SCOGLIO ACUMINATO CHE HA LA PELLE ROSA MA PIù ROSA SALMONE CHE ROSA TRIGLIA E A NOI SERVE PIù ROSA TRIGLIA CHE ROSA SALMONE
  • MANDA LA MAIL ALL’ACCOUNT PER FISSARE LE DATE DELLO SHOOTING
  • RIMANDA LA MAIL DOPO 2 ORE PREGANDO IN TURCO E CHIEDENDO PERDONO SUI CECI PERCHè HANNO SPOSTATO L’ALTRO SHOOTING E, CONSEGUENTEMENTE, COME UN TETRIS CAMBIANDO UN PEZZO NELL’AGENDA SONO VOLATE MILLE MALEDIZIONI PERCHè ADESSO NON TORNA PIù NULLA E FINIRA’ CHE DOVRO’ FARE LE SPESE PER IL SET AL CARREFOUR 24 ORE ALLE 3 DI NOTTE PER INCASTRARE TUTTE LE PRODUZIONI
  • MANDA I CONSUNTIVI. PECCATO AVER MISCHIATO GLI SCONTRINI, AVERLI PRESI PER SCRIVERE IL NUMERO DELL’IDRAULICO E ORA NON TROVARNE PIù ALMENO 3 E DOVERLI CERCARE DISPERATAMENTE IN TUTTE LE BORSE E IN TUTTI GLI ANFRATTI POLVEROSI DI CASA SAPENDO CHE NON LI TROVERò MAI.
  • RICHIAMA IL FRUTTIVENDOLO E FAGLI CAPIRE CHE LE CIPOLLE DEVONO AVERE DELLE RADICI LUNGHE 10 CM. “SCUSI NON HA WHATSAPP CHE LE MANDO UN VIDEO DI REFERENCE? AH, NON HA NEMMENO LA MAIL. HO CAPITO. LE MANDO UN VHS IN PELLICOLA CHE MAGARI COSì CE LA FACCIAMO”
  • TELEFONA AL FOTOGRAFO CHE VUOLE FARE UN PPM PER GLI SCATTI DI TORTE, PERCHè DEVONO ESSERE BELLE MA NON FINTE. CIOè GENUINE MA REGOLARI. NON QUELLE DI GESSO CHE VEDI NELLE PUBBLICITà CHE SEMBRANO DI GESSO E NON CI PIACCIONO MA LA FETTA DEVE AVERE UNA ALTEZZA DI ESATTAMENTE 3 CM CON UNO SPESSORE DI 5 PER UNA LUNGHEZZA DI 7 CON 3 STRATI DI MELE DI 4 MILLIMETRI PER UN TOTALE DI 8 FETTINE DI MELE NON OLTRE CHE SE NO SONO TROPPE MELE.  MA MI RACCOMANDO, NATURALE EH, NON COSTRUITA.
  • CERCA IN RETE DOVE NOLEGGIARE IL FORNO AL FOTOGRAFO. PERCHè L’AGENTE NON SA DOVE. E LE TORTE NON SI CUOCIONO IN FRIGORIFERO.
  • SCRIVI LE RICETTE DELLE FOTO SCATTATE DUE MESI FA CHE NON TI RICORDI NEMMENO CHE DUE MESI FA HAI SCATTATO LE FOTO. FIGURIAMOCI LE RICETTE!
  • VAI A PORTARE LA MACCHINA A FAR CAMBIARE LE GOMME. CHE ALLA REVISIONE A MOMENTI TI STRACCIANO IL LIBRETTO E TI SEQUESTRANO IL MEZZO. E POI COME FAI AD ANDARE SUL SET CON QUEI 12 POLLI PER LO SHOOTING DI ELETTRODOMESTICI? SUL TRAM NON TI CI FANNO SALIRE CON 12 POLLI IN UN TROLLEY!
  • MANDA UNA MAIL ALLA POLACCA, CHE NON TI PAGA DA UN ANNO. E DA UN ANNO LA RINCORRI CON LA TUA FATTURA COME HAI RINCORSO SOLO I TAKE THAT DA RAGAZZINA PER FARTI FOTOGRAFARE UNA MUTANDA. MANDA LA CENTOMILLESIMA MAIL E SPERA CHE SIA L’ULTIMA E CHE NON TI CHIEDANO, OLTRE TUTTA LA DOCUMENTAZIONE GIà INVIATA, ANCHE IL 730 DEL FU ORMAI ZIO. PERCHè MANCA SOLO QUEL DOCUMENTO PER PAGARTI, TUTTI GLI ALTRI LI HAI GIA’ DOVUTI INOLTRARE (POI PER DIMOSTRARE COSA? SIETE VOI CHE MI DOVETE PAGARE, NON VI HO CHIESTO UN MUTUO!)

Questo è il riassunto di una mattina di fine luglio. Di due ore di una mattina di fine luglio.

Si, decisamente mi sta fondendo il cervellone. E decisamente, nonostante il punto di fusione sia vicino, amo questo lavoro.

Di frigoriferi troppi pieni.

imageIo sono 10 anni che ci combatto. 10 anni di me spalmata contro la porta del frigo cercando di farla chiudere. 10 anni che da quella maledetta fessura esce luce, che vuol dire che dannazione qualcosa dentro spinge e il frigo resta aperto con mie grandi imprecazioni del caso.

In inverno va meglio: ho un secondo frigo. Il baule della macchina. Ma anche l’abitacolo della macchina all’evenienza va bene. Solo che abbandono le spese per intere notti e la mattina mi ritrovo odore prepotente di cavoli. O porri. O pane stantio. O meloni. In base ai lavori e alle necessità ma quasi sempre odori da esorcismo a colazione.

L’altra sera mi sono trascinata sulle ginocchia in orario chiusura di Esselunga, ma non avrei saputo come fare altrimenti. A parte che se per caso manco un giorno ormai si preoccupano e manca poco mi telefonino a casa a chiedermi se io stia bene dato che ci vado di media due volte al dì, mattina e sera tappa fissa. Sto per ottenere anche un armadietto personale con sopra il mio nome nel retro per depositare effetti personali e fare la spesa con più agio.

Mi muovo come un pachiderma con un carrello strabordante di spesa di lavoro e la mia attenzione viene catturata mentre scelgo un gelato consolatorio post shooting e post unto.

“Ma non ce l’hanno la pollo-pizza?” dice  una voce maschile. “Ma cos’è?” Ribatte la donna. “È una pizza che invece che pasta di pizza, come base, ha pollo fritto”. “Prova ad andare da Bubo, vedrai che la trovi” risponde la voce femminile.

Il dialogo mi fa voltare per la curiosità di vedere le facce dei protagonisti di questa discussione.

Riconosco lei, giro la testa e vedo lui. Caccolo.

Sono passati almeno 20 anni. Era un bimbo magrissssimo, bruttarello, con i capelli corvini e un neo sulla guancia. E io la sua 18enne baby sitter.

La madre, nonostante fosse casalinga, mi chiamava per andare a curarglielo. Io lo facevo giocare, lei per ore fumava in cucina mentre telefonava alle amiche. Per cena tirava fuori un uovo Kinder, glielo dava, poi gli scaldava gnocchi comprati precotti e pretendeva lui li mangiasse dopo il cioccolato. Caccolo ovviamente non ci pensava manco per sogno, si divorava il cioccolato e arrivederci cena!

Di cioccolato deve averne mangiato un po’ troppo in questi 18 anni, ma non solo quello. Anche salsicce e ciambelle a vederne la stazza, era uno scricciolo e oggi è un bue. Un bue che cerca pollo fritto con sopra pomodoro mozzarella e magari del salame piccante nei surgelati dell’Esselunga. Dovrebbe cercare dove sono i filetti di platessa al vapore, Cielo!

Il suo frigorifero, come il mio, è stato decisamente troppo pieno in questi ultimi due decenni.

La differenza è che nel mio frigo, di mio, c’è solo una vaschetta di prosciutto cotto quando va bene, il resto è per gli shooting.

Oggi sono su un set per un famoso cliente di fast food. In pausa pranzo forzata per apertura del punto vendita alla clientela vedo entrare un ragazzo di spalle. E da come tiene lo zaino, capisco che è un ex fidanzatino di 18 anni or sono. Non lo vedevo da allora. Anche il suo, di frigo, ha avuto troppo ben di Dio al suo interno penso tra me e me. Non che ci sia nulla di male, ma oggi per una volta benedico di non avere mai spazio nel frigo e così tenermi lontana da tentazioni mangerelle.

Ps: caccolo era così chiamato perché a 5 anni non usava il wc. Faceva la cacca nel vasino in sala sul tappeto persiano della ricchissima e annoiatissima mamma.

Spero che nel mentre abbia imparato che esistono migliori maniere. Quanto al cibo precotto, invece, non è cambiato granché da allora.

 

Un mondo a forma di parmigiana

image

 

7 anni fa pubblicavo questa mia illustrazione su un sito americano che si chiama theydrawandcook.com.

Già allora ero una parmigiana addicted. In realtà lo sono sempre stata.

Sono nata in agosto e, da piccola, mia mamma mi chiedeva sempre per il compleanno cosa volessi mangiare. La risposta era già scontata: parmigiana di melanzane.

Si mettevano lei e mia nonna a friggere per un intero pomeriggio con una pazienza titanica che capisco a fondo solamente ora che sono adulta e che sono io quella che frigge fetta dopo fetta per due ore di seguito.

Ad oggi resta il mio piatto preferito, quello che potrebbe consolarmi da qualsiasi macumba, qualsiasi giornata di peste nera sui set, qualsiasi unta e folle peripezia, qualsiasi richiesta lavorativa impossibile da accontentare, qualsiasi giornata torrida che mi fa appassire la rucola in tempo zero e mi fa afflosciare la panna finta!

Datemi un mondo fatto a forma di parmigiana. E io sarò felice.

 

Il weekend. E la parmigiana.

parmigiana prep

E’ stata una settimana di quelle “da esorcismo”. Tra caldo infernale, set improbabili, shooting all’arrembaggio e immancabili altre peripezie private e familiari.

Oggi posso dire che ho dormito buona parte della giornata, e non è una rarità. Dopo settimane da tripli salti mortali carpiati, il sabato spesso cado in un letargo incoercibile fino a metà pomeriggio, momento della giornata in cui normalmente riesco, dopo un caffè, a riprendere contatto con la realtà.
Dei set racconterò in seguito, per oggi ho bisogno di dimenticare!

E’ vero, non ho fatto niente in questa giornata.

Niente, tranne la cosa che amo di più al mondo. La parmigiana <3.

 

parmigiana ok foto

Mai sottovalutare una giornata di fritto.

mai sottovalutare il fritto

 

Oggi sono su un set da battaglia. Nel senso che è sempre una lotta tra me, le ricette che spesso non vengono, i props che fino a poco fa non erano mai quelli giusti, le troppe pentole e il solito immancabile unto dilagante.

Sapendolo stamani in fila: mi lego i capelli con la prima cosa che trovo sembrando più una sopravvissuta ad un ammaraggio che ad altro, mi infilo un informe pantalone color cecio, una canotta slavata azzurro indaco, ciabattina e zero trucco.

In definitiva sembro una sonnambula in pigiama che si aggira per strada.

Tanto devo friggere, mi dico. Inutile sistemare e lavare i capelli e metterli in piega. Tanto devo friggere. Inutile mettermi qualcosa di decente addosso che poi magari mi si rovina. Tanto devo friggere. Inutile truccarmi che mi cola il mascara fino nelle mutande dal caldo. Tanto devo friggere. Mettiamo una qualsiasi scarpa bassa che starò ore in piedi. E poi, tanto devo friggere.

Non c’è cliente, siamo solo la fotografa ed io e lei non si scandalizza, mi ha vista in tutti i modi possibili attraverso crisi personali epiche e pianti a dirotto. Incredibilmente mi vuole lo stesso bene e nulla le frega della mia mise.

Bene.

Mi scrive che è in ritardo e io sono in anticipo: vado a fare colazione in quel delizioso baretto sotto le piante dove hanno quelle buonissime brioches.

Mi siedo e una voce mi parla: “ciao, cosa posso portarti?”.

Alzo la testa.

Due incredibili occhi verdi da folletto mi guardano, due arcate di denti scintillanti si spalancano in un sorriso e un ricciolo di capelli scuri viene scostato leggermente dalla fronte. Metto a fuoco l’immagine complessiva e vedo che il ragazzo del bar è di una bellezza imbarazzante.

In una frazione di secondo mi ricordo di essere la controfigura di Kate Winslet nella scena del Titanic. Ah no, lei almeno aveva dei vestiti bellissimi, leggermente fradici ma bellissimi. In quanto a grado di umido, siamo lì: la canicola milanese fa sudare a livelli indecorosi a dir poco.

E il mio interlocutore è fighissimo. Merda.

Tiro fuori il migliore dei miei sorrisi, consapevole di essere in condizioni disastrose, e gli rispondo con tono di chi fa finta che vada tutto benissimo quando in realtà vorrebbe scappare da Enzo e Carla a farsi dare una sistemata e tornare dopo un’ora.

“Un caffè macchiato e una parigina all’albicocca per favore”.

Maledetta me e alle mi idee del cavolo ❤