Storia di un Polpo Errante

polpo

Questa è la storia di un polpo. Ma non un semplice polpo.

E’ la storia di un Polpo Errante.

Cominciamo a dire che adoro questo cefalopode, e non si da dove nasca questa passione dato che a casa dei miei non ne ho mai visto uno, nemmeno disegnato.

Devo averlo assaggiato chissà dove ed essermene innamorata.

Putroppo per me ho ereditato da quella Santa Donna di mia madre il raccapriccio verso tutto ciò che vive in acqua: dal pesciolino rosso della boccia al filetto di orata. Quando per lavoro mi tocca imbattermi in qualsiasi pesce o mollusco devo ricorrere a ogni mia risorsa per non diventare verde ramarro. Memorabile fu uno shooting nel quale c’erano da girare dei piatti a base di coda di rospo: quella volta, come assistente, in un raptus di genialità, ho chiamato il mio fidanzato. Che nella vita fa tutt’altro, tra cui studiare medicina veterinaria.

Ho pensato che lui avrebbe potuto avere più dimestichezza di me con sto pesciaccio.
Sottovalutando però che Gabriele è vegetariano da 20 anni.
Messi bene: un vegetariano e una a cui fa schifo toccare i pesci alle prese con non so quanti tranci di coda di rospo.
Per altro, come se ciò non fisse già abbastanza delirante, lo shooting si protrasse fino ad un orario inverecondo, le 5,30 del mattino! All’alba della 4, dato un caldo pazzesco e un avanti e indietro di delle rane pescatrici dal frigo, c’era un odore davvero nauseabondo. Ricordo che a me venivano i conati di vomito e Gabriele mi sventolava sotto il naso una pianta di timo per alleviare le mie sofferenze. (Per onore della cronaca, fu proprio lui a pulire dalla pelle i pesci, in modo chirurgico e preziosissimo!).

Da allo sono passati circa 5 anni.

Mi sono dovuta imbattere in pescato di ogni genere un milione di volte (altra perla rara fu lo spot del patè di sardine e 3 kg di sardine da eviscerare e cuocere in forno…) e un pochino sono riuscita ad addomesticare la mia naturale ritrosia nel maneggiarlo: basta che siano a filetti e non mi guardino perchè ho ancora i miei problemi!

Tornando al polpo, ho scoperto di potercela fare a cuocerlo solo un paio di mesi fa: prima di allora, l’unico modo per mangiarlo era che qualcuno me lo preparasse.

Avevo trovato un bellissimo polpo che pareva chiamarmi all’Esselunga ma, dato che sapevo che non l’avrei mangiato quel giorno, l’ho messo in freezer (primo viaggetto).

Cià accadde in maggio,per cui qualche giorno fa ho deciso che ormai era venuto tempo di cuocere il mio polpo per non doverlo poi cestinare.

Ma qui è sorto il problema: farlo bollire per 45 minuti in tre litri di acqua con il caldo che fa? Ma non se ne parla assolutamente!

E così ho deciso che l’avrei portato in montagna per il weekend e, una volta arrivata, avrei potuto con un pochino meno caldo accendere il gas in cucina.

Per cui ho preso il mio amico, l’ho prelevato dal freezer e gli ho fatto percorrere questi 100 km (seconda tratta).

L’indomani l’ho cotto come da manuale ma, non avendo voglia di mangiarlo subito, l’ho riposto in frigo e tenuto da parte per il giorno successivo. Così è stato, bello croccante servito su crema di melanzane e menta con pomodorini confit.

Avendone avanzata una metà, e dovendo rincasare, non ho avuto altra soluzione: polpo, te ne torni di nuovo in macchina, se fai il bravo ti faccio viaggiare sul sedile accanto al conducente e scegli tu la compilation di Spotify!

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ParmigianaOFF – Le assurdità possono aspettare fino domani

parmigianaooff

Oggi sono Off. Chiusa per riossigenare il cervello. O almeno ci provo e mi costringo al non rispondere alle telefonate di lavoro se non proprio urgenti.

E una che fa la libera professionista, avrà anche il diritto di decidere ogni tanto quando non dare spazio alle solite richieste assurde?

“Dobbiamo scattare il tartufo nero. 100 gr di tartufo. Ma non abbiamo budget per comprarlo. Vedi tu come fare”. Lo ruberò. Che ti devo dire?!

“Dobbiamo girare lo spot in 360. Non sappiamo quando la scena verrà bene essendo un long video. Per cui la ripeteremo all’infinito. Ah, mi raccomando, il pane sempre nello stesso punto di lievitazione per tutto il giorno”.  Sì, mi chiamo Silvan di cognome, non lo sapevate?

“Dobbiamo fare le foto di Natale. Servono i Panettoni Glassati, i Torroni e le mele candite. Oltre che i cioccolatini a forma di Babbo Natale”. Chiedete a Gesù Bambino che li porti.

“Scattiamo il Pollo orientale. Ma mi raccomando: non deve essere un pollo normale. Deve essere un Pollo Orientale, deve essere chiaro che non sia un classico pollo”. Io gli metterei un cartellino: non sono il classico pollo. Sono un pollo allevato in Thailandia e guai a definirmi il classico pollo che mi offendo e per dispetto faccio la cacca durante le riprese.

Cose così.
Cose che oggi possono aspettare.

PS: Io, anche se sono “off”, mi tengo vicino un salvagente che non si sa mai. La sfiga (e le richieste assurde), sono sempre in agguato.

Involtini al sugo a colazione

involtini

La giornata è iniziata alle 8. Apro un occhio, apro il secondo occhio, mi metto in piedi, vado verso la cucina, apro il frigo, tiro fuori le buste e comincio ad avvoltolare: uva passa, mortadella, basilico, fettine di vitello, stuzzichino e via nel sugo.

Prima del caffè. Prima del latte. Prima dei biscotti. Prima che qualsiasi cosa possa farmi fare pace con la sveglia, prima che io prenda realmente conoscenza e che mi affacci al mondo. E mentre la salsa bolle creando la sua magia, ecco la vera parte in salita ripida della mattina: le scartoffie da portare al commercialista. Dio, se le odio.

Mi metto ogni volta la tuta dei Ris di Parma e passo la casa da cima a fondo come un agente che deve trovare il dna dell’assassino. Qui però di reati non c’è traccia, se ci sono delle macchie rosse a terra sono solo quelle della pummarola che schizza impazzita mentre setaccio ogni cm alla ricerca di fatture, bollette, pezze di ogni tipo e sorta ficcate in ogni dove. Armadi, mobiletti, sacchetti abbandonati nel ripostiglio, quaderni di veterinaria, libri di anestesiologia o ricettari di Donna Hay. Sono riuscita a scovare ricevute anche nella scarpiera, nelle camicie delle grandi occasioni e nell’armadietto del bagno (e non erano ricevute di medicinali, erano fatture di Esselunga per l’acquisto di salcicce per una campagna stampa di uno spiedino). Cosa ci facesse sta ricevuta in mezzo alle mie creme da corpo lo può sapere solo qualche indovino che risponde on line. Io non ne ho idea ma soprattutto non voglio nemmeno saperlo.

Dopo un’accurata ispezione a base anche di Luminol prendo il maldestro plico, mi metto un sorriso e un rossetto e vado da Luca.

Il commercialista resta per chiunque un’affare detestabile. Ogni volta che dico che ero dal commercialista, mi viene detto “mi dispiace” con tono di condoglianze. Come se fosse una disgrazia mortale.

E dire che io Luca lo adoro, ogni volta ci facciamo risate a non finire; anche se le tasse di luglio vanno sempre assorbite insieme a una damigiana di Tavernello, fossero anche le 10 del mattino. Dopo ore di calcoli, cervello in fumo, prospettive di fatturati, spese, sottrai, togli inps, irpef, aliquote, altre tasse a me sconosciute e anche il budget che avevo stanziato per comprare le mutande in stock, mi ritrovo a correre in posta sperando che l’avviso non sia relativo ad una multa, perchè per pagare pure quella dovrei mandare i gatti al circo a lavorare come giocolieri.

Entro e lo scenario è assurdo: un ragazzo in piedi davanti al banco. 20 persone accaldate che attendono. Un impiegato che urla come un forsennato che il pacco non può consegnarglielo mentre il ragazzo si anima alzando i toni. Intorno la gente in coda comincia a schierarsi: chi dalla parte della Posta e chi dalla parte del cittadino. Sembra una bisca clandestina con schiamazzi tra gli spettatori, scommesse e i duellanti che man mano passano i minuti urlano sempre più. Manca solo un venditore di hot dog e una squinzia in tanga con cartelloni pubblicitari.  Il ragazzo viene richiamato sul retro e si sentono grida talmente forti che mi domando se non sia il caso di chiamare la polizia.

Mi guardo intorno e la signora di fianco a me comincia a raccontarmi la storia di questo poveretto manco fosse la trama di Beautiful. L’impiegata nel mentre continua a digrignare i denti chiamando i numeri così furiosamente che la gente è quasi intimorita nell’avvicinarsi perchè sa che qualsiasi cosa farà o dirà, anche solo se avrà un cognome con troppe consonanti, andrà incontro all’ira funesta della donna armata di timbro e canino avvelenato.

Arriva il mio turno: sfodero un gentilissimo “buongiorno” sperando di rabbonirla. Legge il cognome “ma tu hai un fratello che è andato a scuola dalle suore?” “In realtà ne ho tre che sono andati lì”. La signora archivia il canino per mostrare tutta l’arcata che si apre in un ampio sorriso compiaciuto. E inizia a raccontarmi di Suor Ivana, SuorQuesta e SuorQuella tutta felice. Avere dei fratelli, e un ottimo commercialista, spesso aiuta anche in momenti funesti.

(La coda in posta è comunque durata un’ora. Per poi ritirare una certificazione di ritenuta d’acconto totalmente inutile che avevo già ricevuto via email)

Il viola porta sfiga. E chissenefrega.

gonna viola2

 

Oggi sono andata ad un PPM, che sembra chissà cosa ma in realtà è solo una riunione pre shooting. Sembrava che dovessi andare ad un incontro della Nato data la pressione affinchè io garantissi la mia presenza.

Mi sono detta “ok, devi andare presentabile, non nelle tue solite mise cialtrone da fritto”. Per cui, essendo una riunione che per qualche verso anche mi destava preoccupazioni, ho deciso di mettere una gonna pantalone che per me è un talismano.

L’ho comprata due settimane fa in Puglia da Aysha, bellissima senegalese che mi ha stregata (e ladrata) con due parole ben assestate: guarda che bella, stai su con le spalle, con il tuo fisico lo porti a vita alta con i tacchi e vai a Milano a farti guardare da tutti. Fottuta e 35 euro volatilizzati in 2 secondi dal mio portafogli.

Aysha mi ha mostrato in una manciata di parole come si fa a fare la commerciante. Un’occhiata velocissima alla cliente per studiarne in tempo 5 secondi la psicologia, qualche frase ben piazzata sui suoi punti deboli, un po’ di psicoterapia da spiaggia sul lettino (abbronzante) e quell’aria del “non mi interessa se non lo compri tu tanto la sciura del lettino di fianco l’ha già addocchiata”. Oltre a un paio di consigli sentimentali. Fregata, stesa dritta e con capo acquistato in tempo zero.

Reputo in qualche modo magica questa gonna pantalone di seta indiana comprata dalla favolosa senegalese, per cui stamani, dato che avevo bisogno di un po’ di BuonaStella a mio favore, ho deciso di indossarla.

In barba a quello che dicono nel mondo dello spettacolo: il viola porta male.

E chissenefrega.

Bella sgargiantissima vado leggera sui miei sandali alla riunione, acconciando capelli e sistemando trucco. Mi immaginavo riflessa in una sala riunioni con tavolo di cristallo e vetri a 360 gradi, a rimirare Milano da un piano altissimo.

Questo era quello che sembrava promettere il tono dell’interlocutore durante la nostra conversazione telefonica.

Ecco invece la realtà: sono finita in un seminterrato in un’agenzia che più incasinata ho visto solo la mia camera dopo una settimana di shooting che finiscono a notte fonda. Oggetti vari sparsi in ogni dove, scrivanie non ben definite e gente sparpagliata qui e là senza nessun ordine logico.

Il mio povero trucco dopo 5 minuti di sotterraneo con ventoline che cercano di alleviare il caldo di luglio mi ha abbandonata; l’acconciatura invece l’ho abbandonata io legando selvaggiamente i capelli dopo essermi resa conto che un caldo del genere l’ho patito solo a Tikal in Messico alle 2 del pomeriggio.

Fogli su fogli, parole su parole, ricette sconclusionate da definirsi e due ore di sproloquio che alla fine mi hanno fatta uscire ancora più confusa di quanto non lo fossi entrando. Di una cosa sono certa: per dare un senso a queste 23 pagine di documento per lo shooting avrò bisogno di ben altro che una gonna portafortuna. Avrò bisogno di una generosa dose di culo e una grande pazienza.

Il CousCous e lo shooting della Zia Isterica

Faceva un caldo da sciogliersi in quel malefico antro che si ostinano a chiamare cucina. Forse all’inferno le cucine sono fatte così, non saprei; quello che so è che secondo me non si merita questo titolo.

Lo shooting questo giro era con un simpaticissimo regista inglese che amichevolmente chiamavamo la ZiaIsterica, non per l’orientamento sessuale, di cui nulla ci può ovviamente importare, quanto per la tendenza ad attacchi di irascibilità e collera compulsivi.

Io l’inglese lo mastico e mangiucchio, è un po’ arrugginito ma me la cavo la maggior parte delle volte. Eppure, capire la ZiaIsterica è davvero una faccenda complessa. Un po’ perchè ha un accento strettissimo londinese, un po’ perchè parla alla velocità della luce con tono stizzoso, un po’ perchè tira imprecazioni tutto il tempo.

Sta di fatto che ho capito solo ripetere all’infinito in una frase “this fucking…. this fucking… fuck, fuck fucking non so che ” e via dicendo guardandoci con odio misto a incredulità nel vedere che nessuno rispondeva ai suoi anatemi. Te credo, nessuno riusciva a capirlo, manco con la Stele di Rosetta ce l’avremmo fatta.

Amabile, davvero amabile uomo.

I prodotti da girare erano algerini, e non capisco perchè dei cannelloni si ostinassero a chiamarli lasagne: un momento, gli italiani siamo noi. Una cosa arrotolata con una farcia di formaggio e verdura è un cannellone, SantaPace! La lasagna è a strati!

Ma pazienza, pagate voi quindi io non sto a questionare, se vi piace chiamarli lasagne, vada per lasagne; possiamo chiamarli anche mozzarelle in carrozza eh, a me va bene lo stesso.

Nei tre giorni di isteria associata al caldo infernale il CousCous ha spadroneggiato alla grande, riempiendoci in ogni dove di simpatici granelli che a fine giornata mi ritrovavo persino nelle mutande data la mole di semola preparata per lo shooting.

Ma la soddisfazione migliore è stata imparare dalla cliente come si cuocia realmente sto benedetto couscous: ok, sbagliavo tutto con il risultato che il mio couscous assomigliava più ad una polenta che ad altro la maggior parte delle volte.

CousCous, ora nun te temo più!

 

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Io sono Parmigiana. ParmigianaDesign.

 

Nelle mie vene sono certa scorra salsa di pummarola, di sangue credo non vi sia traccia.

Niente mi rende più felice di un piatto di parmigiana. Ma in mancanza mi accontento anche di melanzane ripiene, finta parmigiana di melanzane oppure di involtini di melanzane. Anche polpette di melanzane. Con il sugo, ovviamente.

ParmigianaDesign nasce dall’amore profondo che ho per il cibo legato alla meravigliosa, isterica, assurda e assolutamente paranormale vita della foodstylist.
Un connubio esplosivo che riempie le mie giornate, e il mio frigorifero, di scenari che meritano di essere raccontati.

ParmigianaDesign sarà il racconto di questo favoloso angolo di mondo, tra il serio il faceto, l’assurdo e l’ilare, l’allegro e il disperato in un dentro e fuori tra i set, i supermercati, gli studi fotografici e la mia cucina, cuore pensante e operativo di questa avventura.

melanzane ripiene